The Outsider, il sostrato insistente del male dal romanzo di Stephen King

by Nicola Signorile

Un viaggio morboso, inquietante che mette in scena l’impatto del soprannaturale sul quotidiano di persone normali. Restare aggrappati alla ragione finché l’evidenza non ci impone di aprire la mente a strade alternative: è quello che succede ai protagonisti di The Outsider, miniserie Hbo in onda su Sky Atlantic e in streaming su Now Tv, tratta dal romanzo omonimo di Stephen King pubblicato a maggio 2018.  

Uno show di grande fascino, esteticamente e narrativamente impeccabile, che, mantenendo al minimo l’esposizione dell’elemento soprannaturale introdotto con estrema cautela, avvince lo spettatore con uno sviluppo poco prevedibile, lo avvolge nelle proprie spire insinuandosi lentamente tra le visioni predilette di questo infausto inverno 2020.

The Outsider non travolge per ritmo, la scrittura di Richard Price – scrittore e sceneggiatore di grande esperienza, showrunner nel 2016 di The Night of, altra ottima miniserie targata Hbo – dosa con maestria  la suspense di un racconto che parte come un classico thriller procedurale, per poi inoltrarsi nei territori più cupi dell’horror soprannaturale.

Siamo a Flint City, nella classica provincia statunitense alla Stephen King, in un piccolo paese scosso da un evento raccapricciante: il violento omicidio dell’undicenne Frankie Peterson. Dell’indagine viene incaricato il detective Ralph Anderson (Ben Mendelsohn), che non deve faticare molto per risolvere il mistero. Testimoni oculari, evidenze biologiche, filmati dalle telecamere di sorveglianza, prove schiaccianti contro Terry Maitland (Jason Bateman), rispettato padre di famiglia, allenatore della squadra di baseball della scuola locale. L’arresto davanti all’intera cittadina durante una partita getta lo stigma sulla famiglia dell’accusato mentre la sua difesa presenta prove altrettanto certe della sua innocenza.

Può lo stesso uomo trovarsi in due città contemporaneamente? Quali strumenti ha a disposizione una mente razionale di fronte a due fatti, entrambi dimostrabili, in contraddizione tra loro?

Crolla ogni certezza, viene messo in crisi quello in cui ha sempre creduto il detective Anderson, aggrappato alla coperta di Linus della ragione quasi fino alla fine. Un uomo comune davanti a circostanze eccezionali, un investigatore caparbio e razionale ma dimesso;  un antieroe sdrucito, depresso, con la morte nel cuore per la perdita del figlio adolescente, magistralmente interpretato dall’attore australiano Ben Mendelsohn, spesso ingabbiato in ruoli da cattivo scritti con la copia carbone.

The Outsider non sarebbe la gran serie che è senza un protagonista come lui: lavora costantemente in sottrazione, esprimendo con lo sguardo, con poche espressioni ben studiate, con una presenza poco carismatica che lascia il segno. Una crescente inquietudine serpeggia nel gruppo di investigatori che, tra difesa e accusa di Maitland, ricercano la verità. Qualcosa di inspiegabile si cela dietro Terry e la sua copia conforme, turpe omicida o cittadino esemplare.

Un casting eccellente anche per quel che concerne gli altri ruoli. Il presunto omicida è affidato al viso d’angelo di Jason Bateman, campione della commedia Usa, da Game Night a Come ammazzare il capo, che ha già dimostrato di saper dare corpo a personaggi ambigui come il Martin Byrde della serie Netflix Ozark. Bateman è anche il regista dei primi due episodi di The Outsider – gli altri sono diretti, tra gli altri, da Karyn Kusama e Andrew Bernstein – quelli dedicati all’indagine sull’efferato omicidio.

Al fianco di Mendelsohn e Bateman, un gruppo di consolidati interpreti visti in molte delle migliori produzioni televisive degli ultimi anni: le signore Maitland e Anderson, interpretate da Julianne Nicholson (Boardwalk Empire, Masters of sex) e Mare Winningham (The Affair), l’ex poliziotto Andy ovvero Derek Cecil, il portavoce di Frank Underwood in House of Cards; Bill Camp, l’investigatore di The Night of, nei panni dell’avvocato difensore Howie Gold, Paddy Consodine che ricordiamo per In America di Jim Sheridan è l’ex truffatore e proprietario di uno strip club Claude Bolton, solo per citarne alcuni.

Poi c’è la ciliegina sulla torta: per sbrogliare la matassa viene ingaggiata la giovane investigatrice privata Holly Gibney.  “Solo un outsider può dare la caccia a un outsider”, una donna fuori dal comune che si fa forza dei tratti peculiari che a lungo l’hanno messa ai margini della società.

Il perfetto contraltare rispetto alla razionalità di Ralph Anderson; una donna forte, intelligente, di incredibile perspicacia, con tratti di autismo e scarsa empatia che in breve tempo grazie a una mente agile e priva di pregiudizi conduce la vicenda su un binario inaspettato. A interpretarla, un talento in piena deflagrazione come l’attrice e cantante londinese, di origini nigeriane, Cynthia Erivo, che a 33 anni ha già collezionato un Tony Award, un Grammy e due nomination all’Oscar (per miglior attrice e canzone nel film Harriet di Kasi Lemmons).

L’ingresso di Holly nella vicenda rappresenta un deciso cambio di passo: solo lei può convincere il gruppo di uomini a credere all’uomo nero, a guardare negli occhi quello che le loro menti si rifiutano di concepire. E avrà anche il tempo di intessere una relazione molto particolare con l’ex sbirro Andy, attratto dalla sua alterità spiazzante.

 A caratterizzare lo show è una costruzione graduale di un’atmosfera inquietante, carica di tensione, che accentua la potenza drammatica della storia. Poi, una messa in scena ricca di chiaroscuri, composta di dialoghi convincenti, di dettagli, di visioni accennate e realtà apparenti, di ombre che via via si addensano sulle teste dei personaggi.

Il tono dolente, costruito soprattutto grazie ai personaggi di Anderson e Gibney, fa pensare a una certa affinità dei due con la coppia formata da Woody Harrelson e Matthew McConaughey, i Marty Hart e Rust Cole della prima folgorante stagione di True Detective (ancora il marchio Hbo).

L’imperscrutabilità del Male è un sostrato insistente, penetrato solo con ritrosia da Anderson e soci nonostante l’accumulo di evidenze procurato da Holly Gibney. Molto differente l’architettura della serie rispetto al romanzo di King. Il personaggio della detective viene modificato anche rispetto alla trilogia letteraria iniziata con Mr. Mercedes di cui il personaggio è protagonista, nel 2017 divenuta anch’essa una serie tv.

In The Outsider viene introdotta nel terzo episodio e non a metà della storia, è una donna nera alle prese con la trumpiana America bianca di provincia, esaltando ancora di più la sua estraneità al contesto sociale in cui opera. Sostanzialmente dissimile il finale che con una eloquente scena post credit lascia aperta la possibilità di una seconda stagione mentre il passato doloroso degli Anderson aiuta a colorire da subito la serie.

Senza svelare troppo dell’avvincente trama, la concatenazione tra omicidi rivelata dalle indagini di Gibney segue un filo invisibile che la porta al cospetto dell’insondabile. Qualcosa di misterioso che viene svelato al gruppo di investigatori per la prima volta in un riuscitissimo sesto episodio, in cui tutti i protagonisti vengono messi davanti al dilemma: credere o meno al soprannaturale.

The Outsider ha anche dei momenti di azione ben orchestrati, uno su tutti lo scontro tra la maschia brigata di Ralph Anderson e il poliziotto Jack Hoskins (Marc Menchaca) in una radura nei pressi della grotta dove si terrà il confronto conclusivo con l’outsider.  

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