Quando e per quanto tempo è contagiosa una persona positiva al Covid-19? Le ultime importanti ricerche dell’ateneo foggiano

by Maria Teresa Valente

Non si ferma il professor Giuseppe Pannone, docente di anatomia patologica presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Foggia. Durante la prima ondata della pandemia lo avevamo visto intento nell’interessante studio, che ha avuto rilevanza internazionale, su come un farmaco antireumatico come il Tocilizumab fosse potenzialmente in grado di bloccare gli effetti collaterali gravi della cosiddetta ‘tempesta citochinica’ indotta dal Coronavirus. In questa seconda ondata, il professor Pannone con il suo team del dipartimento di Foggia ed in collaborazione con il team del prof Lorenzo Lo Muzio, composto, oltre che dallo stesso, da Khrystyna Zhurakivska, Giuseppe Troiano, Vito Carlo Alberto Caponio, ha appena terminato una nuova importante ricerca sulla contagiosità del Covid-19.

Professor Pannone, innanzitutto perché questo studio? Lo studio nasce sulla base della costatazione di una mortalità particolarmente elevata in Italia e dalla conseguente necessità di stabilire quali fluidi biologici siano particolarmente coinvolti nella trasmissione e della relativa tempistica di shedding (diffusione) con particolare riferimento al distretto test-collo, ciò per stabilire anche come e quando gli operatori sanitari possono erogare prestazioni terapeutiche molto diffuse, come le terapie odontoiatriche, otorinolaringoiatriche, maxillofacciali, chirurgiche etc”.

Cos’ha potuto evidenziare con il suo team?

I risultati hanno evidenziato che il virus SARS-CoV-2 è presente in diversi distretti dell’organismo e che le modalità di diffusione da diversi fluidi biologici sono asincrone; il cavo orale con la saliva è un’importante via di trasmissione e vi sono molte differenze nella carica virale e nella tempistica di diffusione di distretti anatomici molto vicini come naso, rinofaringe, bocca, orofaringe; è noto infatti che il tampone faringeo sia altamente sensibile nella prima fase della malattia, mentre successivamente lo diventa meno per riduzione della carica virale, mentre il virus persiste in altri apparati per più tempo, per esempio nell’apparato gastroenterico e nelle feci; tuttavia non tutte le particelle virali riscontrabili con i metodi biologici di amplificazione dell’RNA virale sono necessariamente infettanti per tutta la durata dello shedding virale ”.

Professore, una persona affetta da Covid-19 è più contagiosa quando presenta i sintomi?

Dai nostri studi è emerso che la maggior parte dei pazienti raggiunge il picco della carica virale nelle vie aeree superiori entro i primi giorni dalla comparsa dei sintomi e successivamente tende a diminuire. Ciò suggerisce che molti pazienti potrebbero essere contagiosi già prima che i sintomi inizino a comparire”.

Ogni anno c’è l’influenza stagionale ed ogni nuova influenza ha delle complicanze. Perché la SARS-CoV-2 si è rivelata così pericolosa?

“Ricordiamo che questo virus non corrisponde ad un’influenza e che le caratteristiche che rendono questo virus altamente rischioso per la popolazione sono l’efficienza di trasmissione molto elevata e la complessa interazione con l’organismo dell’ospite; in particolare bisogna sottolineare che il virus ha in Italia una letalità elevata, in quanto nel mondo ha una letalità media del 6% mentre in Italia ha una letalità del 9,3% e questo dato è statisticamente significativo”.

Qual è il modo in cui si trasmette il contagio?

“Tramite goccioline respiratorie, ma oggi è importante soprattutto capire quando il soggetto positivo al CoV-2 è in grado di infettare gli altri e quando questa possibilità è maggiore”.

Quindi c’è una sorta di ‘curva della contagiosità’ in un paziente affetto da Covid?

“Certo e con questa pubblicazione abbiamo voluto riassumere i risultati degli studi finora effettuati su vari campioni clinici. La carica virale faringea è massima nella fase iniziale della malattia, mostrando livelli elevati già nelle prime 24h dall’insorgenza dei sintomi con il picco nel 5–6° giorno di malattia. Nella fase avanzata della malattia (seconda-terza settimana), il virus può essere rilevabile in modo intermittente nel tampone rinofaringeo”.

Quindi, professore, può accadere che un paziente possa risultare negativo e poi nuovamente positivo?

“Esattamente. Alcuni autori hanno riportato una correlazione tra gravità delle condizioni cliniche e viralità del tratto respiratorio superiore. Diversi autori ipotizzano un’infezione del tratto gastrointestinale causata dal virus ed in alcuni casi è stato rilevato RNA virale nelle feci o nei tamponi anali anche dopo che i test respiratori sono diventati negativi; l’intermittenza della presenza nel distretto test-collo può essere la causa di infezioni successive nella stessa famiglia o comunità lavorativa, ciò vuol dire che non tutti i soggetti si contagiano allo stesso tempo, quindi tempi di ripresa troppo ristretti sono pericolosi per la comunità”.

Un altro aspetto importante per quanto riguarda la SARS-CoV-2 – aggiunge il professor Giuseppe Pannone – è che diversi ricercatori stanno studiando le caratteristiche genetiche del virus, valutando quanto siano importanti i cambiamenti geografici e temporali nel genoma del virus. Grande attenzione è stata dedicata alle omoplasie, cioè alle mutazioni che sono emerse più volte e possono rappresentare il segno del continuo adattamento del virus al nuovo ospite umano. Sono state osservate diverse mutazioni del virus in diverse parti del mondo”.

Secondo un qualificato studio giapponese, che ha analizzato il DNA di oltre 12.000 pazienti in tutto il mondo, l’Italia si trova nel gruppo denominato “cluster 2”, insieme ad Inghilterra, Portogallo, Grecia, alcuni paesi dell’EST europeo ed al Sud America, dove si trovano maggiormente rappresentate le mutazioni D614G e ORF1ab. La mutazione D614G è associata con maggior carica virale al contagio e maggior efficienza del virus nella capacità di entrare nella cellula alterando la famosa proteina spike, che si lega ai recettori della pressione arteriosa ACE2, mentre l’altra mutazione è importante per la capacità di replicazione dell’RNA virale (ORF1ab P4715L localizzata in Nsp12). In questo studio tali mutazioni sono nel complesso associate ad una maggiore letalità, che risulta essere statisticamente significativa se paragonata agli altri due gruppi (cluster 1 e cluster 3) dove queste mutazioni sono meno rappresentate.

L’Italia, dunque, si trova nel gruppo di paesi al mondo con maggior case fatality rate (letalità) attestandosi questa su valori molto preoccupanti (letalità media del 9,3% con punte massime nella curva di distribuzione anche al di sopra del 15%). Su questo influiscono numerosi fattori, tra questi le mutazioni genetiche del virus di cui vi sono almeno 1234 varianti. In particolare in Italia si è diffusa, già dalla prima ondata, una mutazione (D614G), che è diventata dominante nel mondo, caratterizzata da un’elevata efficienza di trasmissione del virus e che si concretizza in una maggiore carica virale al momento del contagio (viral load).

In sintesi: l’Italia è biologicamente zona rossa e pertanto dobbiamo evitare la circolazione del virus con tutti i mezzi oggi disponibili.

Insomma, a distanza di quasi un anno da quel primo annuncio di un nuovo tipo d’infezione virale che ha avuto origine in Cina e che poi si è trasformata in una pandemia, c’è ancora tanto da scoprire e ancora una volta è importante l’apporto dell’ateneo foggiano.

Lo studio dell’Università di Foggia è stato pubblicato sulla rivista Frontiers in Public Health. “Un elogio particolare – conclude Pannone – va ai giovani medici, odontoiatri, tecnici di laboratorio, biologi che sono motivo di orgoglio per il corpo docente, alcuni dei quali impegnati attivamente nelle attività di ricerca e molti altri operativi direttamente sul campo in prima linea, insieme al personale infermieristico, nelle unità USCA ed in altri presidi anti-Covid19”.

Riferimenti bibliografici:

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Zhurakivska K, Troiano G, Pannone G, Caponio VCA, Lo Muzio L. An Overview of the Temporal Shedding of SARS-CoV-2 RNA in Clinical Specimens. Front Public Health. 2020 Aug 20;8:487. doi: 10.3389/fpubh.2020.00487. PMID: 32974267; PMCID: PMC7468374.

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