Un vaccino sicuro. Silvio Garattini: “Il personale sanitario si deve vaccinare, è un dovere professionale”

by Felice Sblendorio

Con il suo inconfondibile dolcevita bianco, domenica mattina Silvio Garattini si è vaccinato contro il Covid-19. Luminare di rango internazionale, farmacologo e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”, Garattini è stato uno dei testimonial del V-Day.

Personalità rassicurante e autorevole, nel mondo scientifico la sua fama è preceduta da una venerazione quasi religiosa. Famoso per la sua coerenza che, come ha raccontato Roberta Villa ne “Il guerriero gentile”, spesso travalica l’intransigenza, Garattini negli anni ha demolito le teorie e le scoperte antiscientifiche di stregoni e ciarlatani, denunciato lo strapotere delle case farmaceutiche, sconfessato le bufale sui vaccini e sull’omeopatia, segnalato l’inutilità di molti farmaci in commercio, ribadendo continuamente le ragioni della scienza, della ricerca e di una stella polare della nostra civiltà: il metodo scientifico.

bonculture, in occasione dell’inizio della campagna di vaccinazione europea, ha intervistato Silvio Garattini.

Professore, a 92 anni si è appena vaccinato contro il Covid-19. Come sta?

Benissimo. Non ho avuto e, a distanza di più di quattro giorni, non ho nessun sintomo, nessun malessere. È importante comunicarlo perchè ho accettato l’invito della Regione Lombardia a vaccinarmi per dare l’esempio. Bisogna informare tutti che la vaccinazione è sicura, anche se ci sono tante cose che impareremo col tempo. Capiremo nei prossimi mesi, ad esempio, quando durerà la protezione del vaccino.

Domenica, a undici mesi dalla data di isolamento del virus, in Europa è partita questa campagna di vaccinazione. Possiamo definirlo un vaccino storico?

È un prodotto incredibile della ricerca scientifica che valorizza tutto quello che si è fatto prima. La scienza è sempre più trasversale, e molte delle conoscenze che riteniamo non importanti in questi casi si rivelano utilissime per studiare un vaccino del genere. Messe in relazione, le conoscenze accumulate cambiano tutto.

In questi giorni stanno facendo discutere le tempistiche ridotte per la sperimentazione del vaccino. Facciamo chiarezza: com’è stato possibile studiare e produrre un vaccino in meno di un anno?

La velocità con cui abbiamo avuto un vaccino così rapidamente si spiega in quattro fattori. La tecnologia e la quantità di ricercatori coinvolti ci hanno aiutato tantissimo. Poi, si è ridotta di molto la burocrazia. La ricerca scientifica è zeppa di lungaggini burocratiche che, in questo caso, si sono accorciate. Infine, c’è l’importantissimo contributo della spesa pubblica impiegata dai Governi per la sperimentazione di un vaccino efficace e sicuro. Senza preoccupazioni e ritardi per i fondi e la burocrazia, la vita del vaccino ha camminato più rapidamente.

C’è mai stata, in passato, un’accelerazione così imponente per arrivare a un vaccino?

Che io sappia, no. Il primo vaccino che ricordo personalmente è stato quello contro la poliomielite: ci sono voluti anni di ricerca e tanti altri per la campagna vaccinale. I pediatri italiani all’epoca avevano molta paura di questo vaccino e, mentre in altri Paesi i casi erano scomparsi dopo la vaccinazione, in Italia per parecchio tempo abbiamo avuto migliaia di bambini ammalati e morti proprio perchè la campagna vaccinale non aveva raggiunto tutti. All’epoca le conoscenze erano molto scarse, e i tempi lunghissimi. Oggi non è più cosi: i vaccini sono una delle più importanti scoperte scientifiche della modernità.  

In questo caso da dove si partiva? L’attenzione della ricerca scientifica nei confronti di altri coronavirus (penso a quelli della SARS o della MERS) ha aiutato?

Partono da lì, anche se purtroppo non si è fatto un gran tesoro delle ricerche su quei coronavirus. Gli studi all’epoca si sono interrotti abbastanza rapidamente. L’attenzione sulla ricerca scientifica cala quando le varie emergenze finiscono. Fortunatamente, però, ci sono stati ricercatori che hanno continuato a studiare quei virus e, allo scoppio della pandemia, hanno applicato le loro conoscenze sulla ricerca del nuovo vaccino.

Gli studi sono stati valutati con un processo di rolling review (revisione progressiva). Che cosa significa?

Questo è stato un grande elemento di velocizzazione totale. Normalmente all’Ema per valutare un farmaco servono 270 giorni, quindi 9 mesi. Il processo è zeppo di burocrazia, lento. Qui si è fatto molto rapidamente perchè man mano che erano pronti i risultati della sperimentazione animale e poi delle varie fasi cliniche, l’Ema li ha valutati periodicamente. Non montagne di dossier da valutare alla fine, ma evidenze e dati valutati settimanalmente e in parallelo allo studio del vaccino.

A pochi giorni dall’approvazione da parte dell’Ema, in tutta Europa sono arrivate le prime dosi del vaccino. Perchè non deve insospettire questa rapidità?

Non deve insospettire perchè è una procedura inedita, impossibile da immaginare senza l’aiuto economico del pubblico. L’industria non ha rischiato, ma ha potuto produrre il vaccino mentre lo stava studiando. Se lo studio fosse andato male, si sarebbero buttate tutte le dosi, ma così non è andata: subito dopo l’autorizzazione dell’Ema le prime dosi del vaccino erano già pronte per la consegna. Questa è una cosa che non è mai accaduta nella storia delle vaccinazioni.

Molti volontari si sono proposti per partecipare alla fase clinica di valutazione. Il numero dei soggetti sottoposti a vaccino non è stato ridotto?

No. I protocolli che sono stati pubblicati indicano che c’è stata una presenza adeguata delle varie categorie di volontari sia per criticità, età e fattori di rischio. Sono stati esclusi solo i giovani dai 16 anni in giù, motivo per cui non si possono ancora vaccinare perchè il vaccino non è stato testato su di loro. I casi effettuati e analizzati sono circa 36.000: 18.000 trattati con il vaccino e altri 18.000 con il placebo. La presenza della malattia, verificata con sintomi e test molecolari, è stata riscontrata in 162 casi nel placebo, e solo in 8 casi nei volontari vaccinati. Il vaccino ha una protezione del 95%. Un’alta protezione, stando ai dati.

L’efficacia calcolata è alta, ma quali sono le reazioni avverse osservate durante la sperimentazione?

Le solite: gonfiore nel punto d’iniezione, linee di febbre, senso di nausea, malessere, mal di testa, dolori muscolari. Questi sono gli effetti avversi che si verificano nel 10% dei casi. Poi ci sono degli effetti collaterali che ora non conosciamo e che conosceremo col tempo, ovvero quelli che si verificano nella misura di 1 caso su 100.000 dosi. Sarà comunque difficile valutare il rapporto di causa ed effetto. Non bisogna dimenticare che il vaccino ha un effetto specifico: agisce sulle proteine del Covid-19. Tutte le altre malattie (infarto, ischemia celebrale, diabete) non sono ricollegabili al vaccino perchè si regolano indipendentemente dal vaccino. Il vaccino non protegge dalla morte in generale, ma dalla morte causata e provocata dal singolo virus, in questo caso il Covid-19.

Questo vaccino, prodotto dall’azienda statunitense Pfizer, utilizza l’RNA messaggero. Qual è la sua struttura e come si comporta?

È un vaccino fatto da nano particelle che contengono RNA del virus modificato. Sono delle particelle che entrano facilmente nelle cellule e, nelle cellule, l’RNA produce delle proteine S (Spike) modificate, ma compatibili con quelle del virus. Le proteine determinano una risposta dell’organismo anticorpale, e poi una risposta delle cellule che hanno una azione immunitaria. Questo vaccino anziché iniettare il virus, o le proteine del virus, fa produrre il virus dalle cellule umane producendo così anticorpi e risposta cellulare.

È vero che non c’è interazione con il DNA?

È vero. L’RNA modificato non interagisce con il DNA. Alcune componenti dell’RNA sono state modificate proprio per impedire quell’interazione. Non a caso l’acronimo di Moderna, l’altra azienda che ha utilizzato questa metodologia, è “Modified RNA”.

Lei ha conosciuto l’Italia della polio e, da anni, si batte per ribadire l’importanza dei vaccini. Il Novecento è stato il grande secolo dei vaccini, mentre oggi ci sono molti timori, paure, credenze infondate. L’obbligo vaccinale è la risposta giusta?

Parlare di obbligo è controproducente: avviamo questa campagna di vaccinazione e poi si discute. Bisogna vaccinare almeno il 70% della popolazione. In questi mesi dobbiamo parlare e convincere tutti sulla sicurezza e sull’efficacia del vaccino. Serve più il dialogo che le barriere. Sicuramente, però, il personale sanitario si deve vaccinare: è un dovere professionale.

Come si stabilisce un dialogo con i più scettici o, addirittura, con i negazionisti?

La comunicazione scientifica è carente nell’impostazione governativa. Tutti parlano, discutono, ma in maniera generale. Si dice: usciamo dal tunnel, arriva il sole e la speranza, ma questo non è importante. Bisognerebbe avere qualcuno di credibile che, ripetitivamente, racconti com’è fatto questo vaccino e cosa sta succedendo alle tante persone che si sono già vaccinate e si vaccineranno. Non tutti sono negazionisti, ma molti hanno bisogno di comprendere, capire. Per fare tutto ciò serve un linguaggio chiaro. Su questo, il Governo ha mancato ogni tipo di informazione. Parlano tutti i ministri, ognuno per il suo partito, come se fossero problemi che chiamano in causa convinzioni politiche. I partiti sono importanti, ma dovrebbero accantonare i loro interessi perchè oggi c’è in ballo la salute di tutti che, francamente, è più cruciale destino politico del Governo.

Quali sono, invece, le colpe del mondo scientifico? Sembra si sia rotto un legame di fiducia con i cittadini…

I ricercatori per molto tempo hanno vissuto nella loro torre d’avorio, dimenticando l’importante funzione pubblica della scienza. Questo periodo di centralità nel dibattito pubblico, però, non è stato esaltante dal punto di vista comunicativo. Tutti sono diventati virologi, mentre è importantissimo parlare solamente delle cose che si conoscono per costruire un rapporto di fiducia con i cittadini. Tutte quelle discussioni – che ci devono essere, perchè nella comunità scientifica si discute – non sono state di buon esempio. Molti medici hanno cominciato a comunicare senza una vera preparazione. Nell’ultimo mese hanno fatto discutere due dichiarazioni: “Non mi vaccinerò se non ci saranno pubblicazioni adeguate” e “Io mi vaccinerò quando ci saranno informazioni adeguate”. Due dichiarazioni sostanzialmente uguali, ma comunicativamente diverse perchè il primo ha alimentato un’informazione scettica fra i contrari al vaccino. Purtroppo, la comunicazione ha le sue regole, che vanno seguite, soprattutto perchè i mass media cercano di massimizzare le differenze per esasperare discussioni. Bisognerebbe istituire una scuola di comunicazione scientifica per non cadere in queste trappole.

Nella sua biografia, “Il guerriero gentile”, ha denunciato una generale e tollerata ignoranza scientifica. Scrive: «Nell’ambito della cultura scientifica ci mancano proprio le basi». Come si corregge questa miopia culturale?

Con la scuola. Noi abbiamo una scuola di marchio crociano, gentiliano: cioè una scuola di stampo letterario, filosofico, artistico. La scienza non è presente. Non è presente come fonte di conoscenza e di metodologia. La conoscenza che deriva dalla scienza, ancora oggi, non ha lo stesso valore o dignità delle discipline umanistiche. Serve un cambiamento culturale. Nella società ci sono i terrapiattisti, ma non c’è nessuno che giudichi la Divina Commedia come una storiella da quattro soldi. La Divina Commedia la impariamo, ne comprendiamo la bellezza, mentre la scienza non viene studiata a scuola e si presta a discussioni degne delle peggiori battute calcistiche. Ribadisco: è una delle nostre urgenze. Se non portiamo a scuola la scienza, non la porteremo mai nella società.

Nel 1963 ha fondato il rigoroso Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”. La ricerca scientifica è una delle poche speranze di progresso?

Certamente. Dobbiamo prendere esempio dai militari, persone sempre pronte a difenderci in caso di attacco. Dobbiamo considerare la scienza con la stessa utilità. Quest’anno siamo stati completamente impreparati perchè non eravamo pronti ad affrontare una delle tante emergenze che ci potrebbero colpire in questo presente così interconnesso. Quello che dobbiamo fare è migliorare la condizione critica della ricerca in questo Paese. La ricerca è fondamentale, ma qui è tenuta nella miseria. Il vaccino è stato scoperto in Inghilterra, Germania, Stati Uniti: Paesi che scommettono sulla ricerca scientifica. Da noi si continua a fare un dibattito retorico, ma siamo ancora senza ricercatori, finanziamenti, impelagati in una burocrazia che ci impedisce di lavorare serenamente. La ricerca è la nostra unica speranza per il progresso e per sostenere la prevenzione. Oramai siamo abituati, anche per i molti interessi, a considerare solamente le malattie. Più del 50% delle malattie croniche, attraverso la prevenzione e la ricerca, sono evitabili. Sbrighiamoci: le malattie sono il fallimento della medicina.

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