La Festa che Rivela. L’Epifania, Maria Grazia Barone e le piccole crudeltà

by Enrico Ciccarelli

Con buona pace della calza, della scopa e di tutto il folklore che circonda la Befana, compresi tutti i deficienti che, convinti di essere spiritosi, ne approfittano per fare gli auguri alle donne, oggi si celebra l’Epifania, che è una Festa della Rivelazione. Rivelarsi o manifestarsi è infatti il significato del verbo greco epifàinein, da cui il termine deriva. Celebra il mostrarsi del Redentore ai popoli della terra (e non solo al Popolo Eletto, come nell’Antico Testamento) simbolicamente rappresentati dai Re Magi, che riassumono in sé i simboli del potere terreno: corona, saggezza e sapienza delle cose invisibili.

Una Festa della Rivelazione è anche, inevitabilmente, una Festa della Rivoluzione. Perché sarebbe ben trascurabile e contraddittorio un divino che rivelandosi lasci le cose come stanno. E sarebbe una rivelazione monca quella che, nel mostrarsi, non ci riveli a noi stessi, non ci interroghi sulla nostra identità, sui nostri limiti, sulle nostre speranze. È dunque non il chiassoso e festaiolo Capodanno, ma oggi il giorno dei proponimenti, degli auguri e degli auspici. Cosa augurarsi, allora? Più precisamente, su cosa puntare per sperare di essere migliori, per fare in modo che questa Rivelazione non sia uno spot più o meno caleidoscopico, ma un seme?

Io, nella mia senile ingenuità, opterei per la fine delle piccole crudeltà. Sono ormai rassegnato all’impossibilità di estirpare la malvagità: il padre che ha ucciso a coltellate il figlio di sette anni per punire la moglie che lo aveva lasciato, per quanto abominevole ed esecrando, ci fa compagnia da millenni, insieme ad altre turpi figurine del buio della specie. Questo non cancella la cecità e l’orrore di chi non ha saputo prevedere o prevenire, ma fa sterili o pallide le nostre attese che cose come questa non accadano più.

Del pari ambizioso il desiderio che possa annullarsi o stemperarsi la crudeltà impersonale della burocrazia, con le sue insopportabili vessazioni. È chiaro che qualunque persona di buonsenso si chiede perché ogni anno un diabetico debba farsi prescrivere la proroga del suo protocollo assistenziale (quello che permette di avere striscette e quant’altro) e farselo debitamente vidimare dalla Asl, visto che non risultano diabetici guariti. Anche questo, però, è ottusità statistica, contrappeso urticante di quella cosa salvifica che è la procedura, il tessuto di regole e di itinerari che rendono i cittadini uguali innanzi al potere, o almeno tentano di farlo.

No, le piccole grandi crudeltà che mi piacerebbe scomparissero sono quelle che si perpetrano in assenza di malvagità, senza lo schermo dell’impersonalità. Ricorro a un esempio che mi è stato segnalato in queste vacanze: non c’è Foggiano che non sappia cos’è Maria Grazia Barone: una Casa di Riposo, per decenni “la” Casa di Riposo della città, voluta dalla filantropia di una gentildonna, eretta a Fondazione poco più di cent’anni fa, oggi anche Residenza Socio Sanitaria Assistita. La Fondazione, dal 2016 al 30 novembre 2021, affidata alle capaci mani di Clorinda Calderisi, garantisce in un edificio splendido, circondato da un magnifico giardino, un’assistenza di grande qualità, con un personale competente e animato da grande fervore e sensibilità umana.

Proprio qui, però, alla Vigilia di Natale e il giorno successivo, sono state vietate le visite dei parenti. Addirittura –mi dicono- non è stata celebrata la Messa di Natale. Nessun Green Pass rafforzato o iperaccessoriato, nessun tampone, vaccinazione tridosata a sei cilindri ha potuto superare questo divieto. Focolai Covid? Non risulta. Provvedimenti governativi, regionali, municipali? Non pare. A quel che siamo riusciti a capire, un banale problema organizzativo, risolto in questa maniera perché anche per i medici e il personale tutto era Natale.

Giusto, per carità. E agghiacciante. Perché è vero che una Vigilia senza vedere i propri figli e i propri nipoti è cosa da nulla, se paragonata a carestie e terremoti. E certamente non muore nessuno se ci si vede a Santo Stefano o il 27 dicembre. Cos’è mai un calendario? Un apostrofo rosa fra le parole “Buon Natale!” È il caso di farne una tragedia?

Sì. Perché in questo luogo di parziale e progressiva separazione dal mondo, in quella vecchiaia che, secondo Jorge Luis Borges scorre per un lieve pendio e somiglia all’eterno. la Vigilia di Natale che può essere l’ultima non è come le altre, non foss’altro che per quello che gli economisti chiamano il tasso di utilità marginale. E la Santa Messa di Natale che non si celebra è un’occasione perduta per comunicare con Colui alla cui casa fra poco si tornerà.

Certo, volete che il Padre Eterno non accolga l’anima devota che non ha potuto prendere l’ostia per disposizione sanitaria? Volete che nel cenone di figli e nipoti tenuti lontani non sia stato più che mai vivo l’affetto per i padri e le madri, le nonne e i nonni lasciati nella più che decorosa dimora in fondo a Corso Giannone? Ma ditelo a chi si sente tutti i giorni in precario equilibrio, a chi sorveglia, con apprensione o forse con sollievo, la giuntura che scricchiola, il margine del fegato che ingrossa, la nebbia che impedisce di ricordare un volto, un paesaggio, un’emozione. Ditelo a loro.

Questo articolo non vuole suonare a martello le campane dell’indignazione, non pretende inchieste, accertamenti, sanzioni. Parte dal presupposto che tutti abbiano agito in buona fede, senza voler nuocere ad alcuno. Appunto. Perché il nemico peggiore non è la malvagità: è la disattenzione. È il tempo frastornato che ci rinchiude in cure meschine e occupazioni inutili, che ci impedisce l’empatia, ci nega la fraternità delle piccole cose. Anche in luoghi votati alla solidarietà come l’Opera Pia Maria Grazia Barone.

A scanso di equivoci, chi scrive non ha alcun parente, affine o amico ospite di alcuna Casa di Riposo. Proprio per questo ha sentito il dovere di parlarne. Buona Rivelazione, buona Rivoluzione.

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