Il miracolo della 34ª strada, il film di Natale che ci ricorda che non è un pazzo chi crede nell’amore

by Paola Manno

Ci sono certezze che non svaniscono, nemmeno in questi tempi scombussolati e difficili, come certe tradizioni natalizie. I panettoni sono tornati sugli scaffali dei supermercati, come gli angioletti appiccicati sulle finestre degli asili. Sono tornate le richieste di colla glitter agli studenti per i cartoncini e i terribili pupazzi bianchi e rossi che scendono dai balconi, ma soprattutto, sono tornati i film natalizi di cui il massimo cambiamento è quello del canale in cui vengono trasmessi.

Ecco che Macaulay Culkin perde e riperde l’aereo senza mai perdere la verve e la capacità di tener attaccati persino i bambini digitali davanti a una tv. Ritornano le vacanze di Natale di italiani stereotipati in posti da favola, ritornano Eddie Murphy in poltrona  e  gli scheletri di Tim Burton e, da qualche anno, anche lo stravagante Jim Carrey nelle verdi vesti del Grinch.

E poi, soprattutto, ci sono i classicissimi in bianco e nero, tra i quali La vita è meravigliosa, girato da Frank Capra nel 1946 e quello che per me è il più bello di tutti: Il miracolo della 34ª strada (Miracle on 34th Street), girato nel 1947 da George Seaton.

Morandini lo ha definito “forse il migliore film natalizio nella storia di Hollywood, per la sapiente miscela di sentimento e umorismo; l’esaltazione della fantasia e della buona volontà si accompagna a soffici, ma precise, notazioni satiriche sull’ideologia americana del successo, del dollaro, del carrierismo, del consumismo, di un pragmatismo che appiattisce e deprime la vita e i rapporti sociali”.

Protagonista del film, la direttrice del marketing di un grande magazzino di New York, Doris Walker, è una donna di successo all’apparenza forte e indipendente, madre di una bambina di 7 anni che, come lei, è scettica e realista e, naturalmente, non crede a Babbo Natale.

Il film si apre con una sontuosa sfilata che, da sola, vale la visione del film: le strade della metropoli americana vengono attraversate da enormi carri a tema, una trionfale parata di slitte e renne che riempie gli occhi- e il cuore- di una preziosa atmosfera natalizia che però la giovane Susan non riesce a godere. Il primo momento di crisi – il Babbo Natale ingaggiato per aprire la sfilata che si presenta ubriaco – spalanca le porte all’ingresso nella storia di Kris Kringle, anziano signore che sostiene, da subito e con orgoglio, di essere il vero Babbo Natale.

La dolcezza di quest’uomo, interpretato da Edmund Gwenn che vinse il premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1948 proprio per questa interpretazione, fa immediatamente breccia nel cuore degli spettatori ma ci mette un po’ per conquistare quello di Susan e di Doris. 

Ho amato questo film per due motivi. Il primo è il racconto del rapporto tra una madre e sua figlia, un legame molto forte, ma svuotato dei sogni.

Doris è una donna che è stata ferita, che ha cresciuto da sola una bambina e che ha paura d’amare di nuovo. Susan la ama e l’ammira moltissimo ma c’è qualcosa che evidentemente le manca: la gioia dell’infanzia che vuol dire, soprattutto, credere senza riserve ai sogni. Ecco che il più bello le si presenta davanti agli occhi nelle vesti di Kris Kringle (che è poi l’antico nome olandese di Santa Claus).

Mi piace questa donna così tosta, così concreta, ma mi piace molto anche il fatto che a certo punto riesca a fermarsi e a mettersi in discussione e a cambiare idea, aprendo gli occhi a cose nuove. Eppure, e questo è il secondo motivo, al regista non basta raccontare una piccola rivoluzione personale, familiare. Seaton va oltre e ricostruisce un vero e proprio processo giudiziario. Kris rischia infatti l’interdizione e ci vorrà l’intervento di Fred, avvocato innamorato di Doris, per dare una svolta alla storia.

Il processo è il cuore vivo della narrazione, abilmente costruito grazie a testimonianze esilaranti e coraggiose difese che fanno ridere e allo stesso tempo commuovere gli spettatori più sensibili e che contengono il vero messaggio del film. A me questo processo sembra attualissimo. Di questi tempi straripanti di critiche su tutto, opinioni non richieste, abbiamo messo sull’altare del giudizio anche Babbo Natale, e con lui la magia e l’importanza dei sogni. Forse  il film, dopo oltre 70 anni, potrebbe volerci dire ancora questo: non è un pazzo chi crede nell’amore, e forse bisognerebbe addirittura legittimarla questa verità. Forse è proprio un giudice, un giudice vero che deve stabilirlo attraverso un processo in cui vince il bene e perdono le malelingue. 

Il miracolo della 34ª strada, come tutti i film del periodo, ribadisce che a Natale tutto è possibile, ma lo fa con una deliziosa presunzione a cui è bello cedere. Chris Kringle esce trionfante da un tribunale, a testa alta, insieme a tutti quelli che insieme a lui hanno lottato, e vinto.

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