Tutto chiede salvezza di Netflix, il disagio mentale può essere un episodio dell’esistenza. Per crescere

by Molly Clauds

Chi scrive ne sa abbastanza di insonnia, stabilizzatori di umore, allucinazioni, psicosi, dipendenze, contenzione, TSO e permanenze prolungate e forzate in Spdc. Per questo la visione dei primi episodi di Tutto chiede salvezza di Neflix, la serie psichiatrica diretta da Francesco Bruni tratta dal romanzo di Daniele Mancarelli col giovane Federico Cesari nei panni di Daniele, può essere pervasa da un certo scetticismo sulla veridicità dei casi clinici e per il tatto usato nel raccontare un reparto così complesso.

La trama è semplice. Un episodio per ogni giorno. Dalla domenica al sabato. Daniele si risveglia in psichiatria, la notte prima dopo aver abusato d’alcol e droghe ha malmenato suo padre. La famiglia chiama le forze dell’ordine, che non possono che applicare il trattamento sanitario obbligatorio, con la firma e il consenso dei genitori.

Daniele deve trascorrere 7 giorni in reparto, come da TSO, ma qui scoprirà la follia e la bellezza della vita.

Con lui in stanza ci sono altre cinque pazienti: Giorgio, Gianluca, Madonnina, Alessandro e Mario. Nel reparto donne, una bellissima influencer e attrice in erba, Nina.

Il racconto dei matti e delle matte sfocia sempre o nel vittimismo piagnucoloso o nelle moine scomposte e nelle urla isteriche di un mostro di Lockness esaltato.

E balzano subito agli occhi alcune ingenuità nella serie.

In nessun servizio psichiatrico di diagnosi e cura d’Italia le finestre delle camerate sono senza cancellate. Neppure ai piani romani, figuriamoci al terzo o quarto. Si muore legati e sedati, raramente per voli suicidi, dato che chi è lì spesso non riesce neppure a muoversi. La legge Basaglia è del tutto o quasi inapplicata.

In nessun Spdc c’è tanta calma apparente come nella serie, con tre soli infermieri (uno per turno) e due soli medici a diventare punto di riferimento nell’immaginario associativo dei pazienti.

In nessun Spdc si farebbe fuori la figura dei vigilantes, le guardie giurate armate, che per tre turni si avvicendano alla porta del reparto e che spesso rappresentano il vero collante tra chi è dentro e il mondo esterno.

In nessun Spdc i farmaci sono tanto innocui e benefici quanto appaiono nella serie. In tutto chiede salvezza nessuno sbava, nessuno trema, nessuno fa fatica ad alzarsi dal letto per i piedi che diventano mattoni per le pillole che bloccano il sistema nervoso. C’è troppo insight negli episodi. E nessun transfert.

Ebbene, una volta appurato che è un racconto di fantasia, abbastanza edulcorato e adatto ad un pubblico di bocca buona, si può passare agli elementi positivi di una serie di grande impatto emotivo, con una scrittura ed una sceneggiatura davvero sbalorditivi.

Ci sono un po’ di motivi per cui vale la pena di guardare Tutto chiede salvezza.

1) La serie introduce un concetto che sovente nella società non è così chiaro: la malattia mentale o meglio il disagio mentale può essere un episodio nel corso dell’esistenza, da cui si può con successo guarire. Non è uno stigma assoluto, che determina per sempre una griglia in cui incasellare chi solo per un tempo definito è schizofrenico, bipolare, ossessivo compulsivo, borderline, maniaco depressivo etc.

Si può sbarellare, per motivi infiniti. E si può rientrare, diversi e più consapevoli, nel proprio vissuto, riconoscendo, come in una autoanalisi, quando è sorto “il problema”. Come per il protagonista, che ha un rapporto irrisolto di stima e gratitudine con i genitori e ha una depressione latente, che si slatentizza nella violenza e nella rabbia.

2) Si può sbagliare nella vita e tali errori diventano cicatrici psichiche, come per dei bambini inconsolabili. È il caso del maestro Mario.

3) Gli psichiatri spesso “invidiano” i loro pazienti, capaci di dare voce (allucinata) e senso a timori, insicurezze, paure.

4) In reparto gli infermieri diventano la famiglia di ogni paziente in cura. E come ogni familiare lo si ama, lo si odia e si tenta di gabbarlo, ad ogni occasione. Per scappare o anche solo per una pillola in più o in meno. Bellissima l’interpretazione di Ricky Memphis, capace di far visualizzare la forza, l’empatia e il cinismo di ogni operatore sanitario di Spdc.

5) Il pasto, le docce, le visite, come per ogni ricoverato, scandiscono le giornate. E la serie racconta molto bene la routine ospedaliera, senza preoccuparsi di dover riempire tempi che in altri contesti sarebbero percepiti come morti.

6) È vero, nei reparti si disegna e si scrive tanto. A casaccio.

7) E salvezza è la parola che più spesso viene usata, insieme alla domanda “mi dai una sigaretta?”.

Iniettare la tua anima con la libertà è gratis, cantava Dolores dei Cramberries nella struggente Salvation. La salvezza è sempre gratuita, va ricercata dentro di sé. Come fa Daniele.

Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare.”

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