Il cinema del regista genovese si anima nella contrapposizione, tra indignazione sociale e esuberanza spettacolare, tra ambizione neorealista e tentazione allucinatoria, tra sguardo italiano e strabismo americano, tra empito drammatico e deformazione della commedia, tra epos e grottesco, ma anche tra genere e autobiografia, tra autore e professionista, tra regista e attore, tra regista e produttore.
Orio Caldiron
Orio Caldiron
Saggista e critico, è uno dei maggiori studiosi italiani di cinema, autore di centinaia di scritti in cui la straordinaria competenza si salda alla passione cinefila in un linguaggio immediato e colloquiale. Ha dedicato mostre e programmi televisivi a personalità e momenti del cinema italiano. Docente universitario di lungo corso, direttore di prestigiose collane editoriali, è stato Presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.
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Cinema, Storie e Miti
Sergio Corbucci, da Django alla commedia: il regista che modificò gli stereotipi dei generi
Il film all’epoca ha un enorme successo in tutto il mondo. Quando qualche anno dopo Pier Paolo Pasolini va in Uganda per i sopralluoghi della sua Orestiade africana, non appena scoprono che è italiano per le strade tutti lo chiamano a gran voce “Django! Django!” Clamoroso l’omaggio che nel 2012 Quentin Tarantino gli dedica con Django Unchained, che rilancia il nome del regista italiano in tutto il mondo.
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La sua commedia più divertente è Frutto proibito (1942) di Billy Wilder, dove cavalca contemporaneamente la norma e la trasgressione, interpretando la ragazzina in sospetto di lolitismo, la madre che la sa lunga, la giovane donna da sposare.
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Sempre in bilico tra eleganza, autoironia e ambiguità, ha attraversato più di trent’anni di cinema hollywoodiano imponendo il volto attraente, gli occhi scuri, gli sguardi malandrini, la risata contagiosa, la camminata felina come altrettanti contrassegni di uno dei più grandi e affascinanti attori americani del secolo scorso dall’inconfondibile touch britannico.
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Qualcuna ci mette una vita a non diventarlo, altre fanno centro al primo colpo. Il caso…
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Ogni nuovo film del novantenne regista fa discutere e spesso emozionare come al cinema hollywoodiano capita sempre più di rado. Chi rifiuta le sue sconsolate conclusioni deve comunque fare i conti con i personaggi di questo grande narratore, anche quando continuano a dire che non sanno niente, che non c’è niente nel loro cuore.
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In Re per una notte (1982) di Martin Scorsese, che lo considera un attore meraviglioso, è il conduttore televisivo rapito dall’aspirante comico Robert De Niro. Improvvisando una battuta che non c’è nel copione, gli dice: “Sono soltanto un essere umano, con tutte le sue debolezze e le sue insidie: lo spettacolo, la tensione, le vallette, i cacciatori di autografi, la troupe, gli incompetenti”.
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Soltanto nel 1939 riesce a vincere le resistenze dei produttori, debuttando nella regia con Dora Nelsen, ambientato a Cinecittà sul set di un film di costume, dove si diverte a rifare il verso alle convenzioni del cinema autarchico
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Sospeso tra teatro e cinema, recitazione e regia, autorialità e committenza, Vittorio De Sica è un personaggio complesso e sfuggente, la cui esperienza artistica si è svolta nell’arco un cinquantennio – dalla fine degli anni venti a metà degli anni settanta, sullo sfondo di drammatici avvenimenti storici, di profonde modificazioni del contesto sociale, di radicali mutamenti dei media – che ha visto avvicendarsi le fortune del teatro, della radio, della canzone, del primo cinema sonoro e della televisione.
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Nella crisi interna del cinema americano, pronto a privilegiare i mercati stranieri, c’è chi vede nella favola dell’attrice che lascia lo schermo per il trono il passaggio di testimone tra Hollywood e l’Europa, se non addirittura l’intesa tra la californiana fabbrica dei sogni e la vetrina europea, destinata a diventare nei prossimi decenni l’affollato crocevia del jet set internazionale.