Da Renato a…zero. The show must (not) go on. La Torre: “Noi operatori dello spettacolo non esistiamo per nessuno”

by Maria Teresa Valente

Le luci che si abbassano per poi riaccendersi di colpo mentre tutto intorno esplode la musica e l’adrenalina inizia a circolare nelle vene. Sul palco il grande Renato, oppure il super Tiziano o il romantico Cremonini o il rocker Vasco. E via a quelle sensazioni forti ed inebrianti…

The show must go on. Da che si ricordi, è sempre stato così. Il mondo dello spettacolo è andato avanti sempre e comunque, a dispetto di tutto e tutti, riportando calma col suo rumore e momenti di riflessione o divertimento con luci e lustrini. Poi, improvvisamente, il sipario è calato e le luci si sono spente. Sono passati ormai tre mesi e il futuro non si vede ancora all’orizzonte.

Ma cosa ne è stato di chi quelle luci finora le ha accese per noi? Di chi ha permesso agli artisti di esibirsi e agli attori di calcare le scene? “Semplicemente, siamo scomparsi”, risponde Giuseppe La Torre, 35 anni di Manfredonia ed un curriculum da fare invidia. Giuseppe, tecnico delle luci, è da 15 anni nel patinato mondo dello spettacolo e fa parte degli invisibili, ovvero di quella schiera di lavoratori dietro le quinte che nessuno vede, ma senza i quali non ci sarebbero spettacoli né concerti. Da poco aveva terminato il tour con Cesare Cremonini e a breve avrebbe cominciato quello con Tiziano Ferro. Invece, dal 4 marzo, il buio più totale.

“Già da febbraio nelle zone rosse alcuni eventi erano stati bloccati”, racconta. “Il 5 marzo stavo lavorando presso il teatro Kismet di Bari al montaggio per i matinée di Anfitrione, di Teresa Ludovico. Ad un certo punto ci è piovuto addosso il decreto che annullava tutti gli eventi. Abbiamo smontato tutto e siamo tornati a casa. Eravamo sette artisti di scena, due artisti di produzione, più tecnici e facchini. In tutto almeno una ventina di persone che da un momento all’altro hanno smesso bruscamente di lavorare”.

I lavoratori del mondo dello spettacolo sono i tecnici, gli attori, i cantanti, gli uffici di produzione, le etichette musicali indipendenti ed una miriade di altri professionisti, oltre 200mila in Italia, praticamente un esercito. È stato Tiziano Ferro, con cui Giuseppe La Torre stava per cominciare un tour, ad accendere i riflettori mediatici su questa categoria. “Tiziano Ferro ha acceso i riflettori ed è stato accusato di essere superficiale perché secondo molti stava pensando più alla parte ludica che all’emergenza sanitaria. In realtà non parlava per lui, ma parlava per noi”, spiega Giuseppe. Il cantante di Latina aveva dimostrato quindi una grande sensibilità, esponendosi per primo a difesa di una categoria che pare essere stata dimenticata.

“No, non siamo stati dimenticati. Il fatto è che non esistiamo per nessuno”, ribatte con franchezza il tecnico sipontino. “Non esiste un albo della categoria del mondo dello spettacolo. Fino a qualche tempo fa i tecnici erano nello stesso comparto dei lavoratori edili, pur facendo lavori completamente diversi. Non esistendo una categoria, non siamo stati presi nemmeno in considerazione”.

I lavoratori del mondo dello spettacolo hanno contratti intermittenti a chiamata, ma senza ‘indennità di chiamata’. Praticamente sono a disposizione per tutta la durata del contratto (che solitamente dura 6 mesi), ma non maturano nessun diritto nei giorni in cui fisicamente non lavorano. “Quando non vieni chiamato, il contratto è dormiente – spiega Giuseppe – Ovvero è lì, ma è come se non ci fosse. Per avere aiuti dal Governo, non dovevamo avere contratti. Quindi, paradossalmente, con tutti gli eventi saltati, nonostante il contratto fosse dormiente, non abbiamo avuto diritto a nessun’indennità”.

Ma quante persone lavorano ad un evento? “Con Cesare Cremonini, pur trattandosi di concerti all’interno di palazzetti, eravamo ben 85 persone in giro per l’Italia. Dunque, 85 persone che fanno girare l’economia mangiando nei ristoranti, dormendo in albergo, noleggiando auto, acquistando biglietti aerei, treni, ecc. A questi vanno aggiunti i local: i facchini sul posto (per Cremonini una sessantina), gli autotrasportatori, le aziende che fanno le pulizie e tanti altri ancora. Per un concerto fatto negli stadi, si arriva anche a 300 o 400 persone che girano nella filiera degli eventi live”.

La pandemia ha fatto dunque emergere una realtà a molti sconosciuta. In tanti magari invidiano i lavoratori dello spettacolo per la possibilità di accompagnare i tour di artisti famosissimi, ma ora scopriamo che si tratta di invisibili senza diritti. “Uno dei luoghi comuni più grandi che possa esistere è che siamo lavoratori privilegiati, che siamo sempre in giro, conosciamo posti e artisti. In realtà non riusciamo nemmeno a conoscere le città dove andiamo: lavoriamo dalle 6-7 del mattino e fino alla notte successiva per lo smontaggio. Molte volte capita di fare un concerto a Bari e il giorno dopo ad Ancona. Siamo gli operatori dell’ombra, quelli che il pubblico non vede e dobbiamo accettare compromessi per lavorare. Il mondo dello spettacolo è un mondo complicato, soprattutto nel backstage”.

Cosa state facendo per richiamare le istituzioni? “Stiamo cercando di far riconoscere la nostra categoria e di poter percepire un reddito di categoria. Che non è un regalo dallo Stato, ma significa prendere un’indennità nei giorni non lavorati reperendoli dalle nostre contribuzioni. Noi versiamo tasse e contributi e per i giorni che non lavoriamo vorremmo avere la possibilità di ricevere un reddito che ci possa far stare in pace, pagare le bollette, ecc”.

L’Italia è la nazione della cultura, dello spettacolo e della bellezza. “Abbiamo una filiera invidiata in tutto il mondo che va avanti grazie a noi invisibili, ma solo in Italia non è tutelata. Cerchiamo di far invidiare anche i nostri diritti”, evidenzia Giuseppe.

I lavoratori del mondo dello spettacolo sono stati i primi a fermarsi e saranno gli ultimi a riprendere. Si parla di un anno o forse due per concerti ed eventi. Quanti di loro riusciranno in un lasso di tempo così lungo a sopravvivere in questa categoria per permettere a tutti noi di tornare a godere di luci, lustrini ed intense emozioni quando l’emergenza sarà terminata? Forse sarebbe il caso d’interrogarsi seriamente sul fatto che quando un giorno si deciderà di rimettere in moto il settore, potrebbe non esserci più nessuno a riaccendere i riflettori.

Se oggi noi dimentichiamo i lavoratori del mondo dello spettacolo, domani il mondo dello spettacolo potrebbe dimenticarsi di noi.

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