Un film ricchissimo di testimonianze, di voci, di luoghi, di lingue, di colonne sonore originali, di mezzi, costruito grazie a interviste dirette, ricostruzioni storiche, immagini di archivio. È un film poetico, dalle immagini curate, una fotografia ricercatissima, la colonna sonora del talentuoso Lele Marchitelli.
Cinema
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ArteCinema, Storie e Miti
E.T., Alien e King Kong in mostra a Roma le magiche creature di Carlo Rambaldi
A distanza di sette anni dalla sua morte, Palazzo delle Esposizioni di Roma ha deciso di omaggiare Carlo Rambaldi, uno dei maestri indiscussi degli effetti speciali, con la mostra “La meccanica dei Mostri. Da Carlo Rambaldi a Makinarium” visitabile fino al 6 gennaio 2020.
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Sospeso tra teatro e cinema, recitazione e regia, autorialità e committenza, Vittorio De Sica è un personaggio complesso e sfuggente, la cui esperienza artistica si è svolta nell’arco un cinquantennio – dalla fine degli anni venti a metà degli anni settanta, sullo sfondo di drammatici avvenimenti storici, di profonde modificazioni del contesto sociale, di radicali mutamenti dei media – che ha visto avvicendarsi le fortune del teatro, della radio, della canzone, del primo cinema sonoro e della televisione.
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Nella crisi interna del cinema americano, pronto a privilegiare i mercati stranieri, c’è chi vede nella favola dell’attrice che lascia lo schermo per il trono il passaggio di testimone tra Hollywood e l’Europa, se non addirittura l’intesa tra la californiana fabbrica dei sogni e la vetrina europea, destinata a diventare nei prossimi decenni l’affollato crocevia del jet set internazionale.
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Sin dall’apparizione a cavallo di una sedia in L’angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg, s’impone per la sua prorompente fisicità, dopo il lungo apprendistato nello spettacolo berlinese – cinema, rivista, varietà – degli inquieti anni venti.
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Angeli nell’azione, idoli nel pensiero: sono questi gli Angeli che popolano la Berlino di celluloide del maestro tedesco. Creature che imitano la vita e la osservano, cui è data la malinconia, il desiderio di superare la propria condizione di semplici spettatori
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Un film che è un commiato al suo mondo, a Robert De Niro, Joe Pesci e Harvey Keitel, gli amici attori che ha rivoluto insieme in un suo film; ad un modo di fare cinema che ha rivoluzionato Hollywood, celebrato paradossalmente proprio sotto l’egida di Netflix, emblema di modernità e (forse) del tramonto delle sale.
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«Quando si è artisti, quando si creano film, è molto importante non essere logici. Bisogna essere incoerenti. Se si è logici, la bellezza sfugge, scompare dalle tue opere. Se si ha fiducia nelle proprie emozioni, si può essere del tutto incoerenti. Non fa nulla. Perché si ha il potere di cogliere le conseguenze delle emozioni che hai suscitato. Per sempre».
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Rivisto con lo sguardo di oggi, sopiti gli entusiasmi per l’argomento storico, emerge completamente il dramma umano di ogni protagonista che vive nel proprio mondo fatto di cristallo, in cui la minima scossa può essere fatale. Goodbye Lenin è una pellicola in cui ognuno deve accettare i cambiamenti, non solo politici, ma anche personali, ma è anche un film sull’amore, su quello che siamo disposti a fare per il bene di chi amiamo.
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È il corpo di Ahmed che non abbandoniamo per tutta la durata del film, un corpo che potrebbe essere una bomba, che potrebbe uccidere perché per lui “la morte è come una puntura di insetto”.