Bandite, perché è così che i tedeschi le chiamavano, ma anche bandite dalla storiografia ufficiale che le ha relegate, nell’immaginario comune, al ruolo di staffette in bicicletta.
Cinema
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“7 ore per farti innamorare” è anche una narrazione differente di Napoli, che infrange lo stereotipo di celluloide creato negli ultimi anni dalla narrativa stantia e unilaterale dei vari Gomorra e affini, e ci presenta una città solare, colorata e popolata da un’umanità variegata, spiazzante nel suo essere limpida e accogliente. Il ritratto di chi Napoli la conosce e la vive ogni giorno nella sua quotidiana vitalità.
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Raccontare quello spazio fra sogno e realtà, dove morte e miracoli, razionalità e istinto della vita di un uomo si confondono in un solo chiaroscuro non è certo privilegio concesso a qualunque narratore.
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La regia ci accompagna in un film che esprime appieno il potenziale drammatico e terrificante della storia, tenendoci però con un occhio aperto sulla realtà, dosando l’effetto visivo in maniera centellinata e senza mai esagerare. A essere efficacemente esagerata è infatti la tensione, costruita a regola d’arte.
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Il giallo vince? Il giallo vince e perde. Sì, perché la sua trionfante onnipresenza al cinema, nei fumetti, in televisione, non solo non attenua la forbice tra cinema d’autore e cinema di genere, arte e confezione, pratiche alte e pratiche basse, ma sembra in qualche misura esasperarla sottolineando le contrapposizioni e le incomunicabilità.
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FilmTV
Hogar o Dov’è la tua casa? Successo, carriera e possesso intrisi di invidia sociale su Netflix
Un discreto thriller senza picchi che si lascia guardare piacevolmente. Ha la giusta tensione, atmosfere ben costruite e attori in parte. Il film arriva su Netflix in pieno lockdown.
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Nel montaggio furono tagliate ben ventinove parti, alcune semplici fotogrammi ed altre quasi piccole storie incastonate nella trama, come la love story tra Fabrizio, il migliore amico di Jack, e la giovane norvegese Helga.
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I vasti stabilimenti cinematografici di Cinecittà divennero il nuovo Palatino. Roma stessa divenne un gigantesco set cinematografico da mozzare il respiro e accolse un numero infinito di divinità dello schermo proveniente dai più vari domini, con seguiti di domestici e sicofanti, che volevano creare il loro nuovo Mercurio: il paparazzo
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monite, sullo schermo il mito di Philip Marlowe gli sopravvive grazie a Humphrey Bogart, l’indimenticabile private eye di Il grande sonno (1946), il cult movie di Howard Hawks che sacrifica il virtuosismo narrativo del romanzo per privilegiare il magnetismo degli attori e le atmosfere misteriose della metropoli.
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L’ultimo prodotto della lunga partnership è il primo a puntare direttamente al pubblico casalingo di Netflix, un classico action dai toni scanzonati, ambientato a Boston, città natia di Whalberg, dove girò The Fighter e The Departed di Martin Scorsese, che portò all’attore la prima e unica nomination agli Oscar.